di Carlo Rastrelli
Storia Militare di Giugno 2004

BREVE STORIA DELLA MILIZIA VOLONTARIA
PER LA SICUREZZA NAZIONALE (M.V.S.N.)

La sera del 25 luglio 1943, alle 22.47, dai microfoni dell’EIAR, Giambattista Arista lesse all’Italia ed al mondo il comunicato ufficiale delle “dimissioni” di Benito Mussolini e della nomina del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio a nuovo capo del Governo.

Nelle sue memorie, pubblicate nel 1946, Badoglio racconta che molti, nella Casa Reale, nelle Forze armate e tra i vari “congiurati” del 25 luglio, ritenevano che il buon esito del colpo di stato sarebbe dipeso dall’intervento, o meglio dal non intervento, della Milizia fascista.

Nella sola capitale, oltre a numerosi reparti delle Milizie speciali, erano presenti una legione di camicie nere e tre battaglioni “M”. A Ostia, sul litorale laziale, era in attività la Scuola allievi ufficiali “M” ed a pochi chilometri da Roma, a Campagnano, era acquartierata la Divisione corazzata “M”.

Quest’ultima grande unità si era radunata nella zona di Chiusi sul finire del mese di maggio del 1943 ed era stata costituita ufficialmente il 25 giugno 1943. Disponeva di una forza complessiva di oltre 5.700 uomini, in buona parte veterani dei battaglioni “M” distintisi sul fronte russo ed era, tra l’altro, dotata di 36 mezzi corazzati tedeschi, tra carri armati dei tipi PZKW IV G e II N e semoventi Stu.GZ III, tutti armati di cannoni da 75 mm, oltre a numerosi dei celebri pezzi da 88 mm anticarri ed antiaerei. Proprio pochi giorni prima, il 10 luglio, la divisione aveva eseguito un’esercitazione a fuoco alla presenza del duce e delle massime autorità militati italiane e tedesche.

Quando si diffuse la notizia della caduta di Mussolini (e poi del suo arresto), tutti i comandi della Milizia, in Italia e nei territori occupati, rimasero in attesa di ordini dal Comando Generale di Roma. Molti responsabili locali domandarono e sollecitarono ripetutamente l’autorizzazione ad agire. Ma altre furono le disposizioni trasmesse, infine, dalla sede del Comando Generale situata nella grande caserma della Milizia in viale Romania.

In effetti, nella notte tra il 25 ed il 26 luglio – dopo che nella capitale avevano già avuto luogo alcuni occasionali episodi di reazione armata da parte di singole camicie nere e anche di plotoni in servizio d’ordine pubblico nei confronti dei più aggressivi tra i primi manifestanti, subito riversatisi nelle strade – il XVI Battaglione “M” di Como, da poco rientrato dalla Slovenia e dislocato nei pressi di Roma al comando del console Marabini, si mise in marcia per raggiungere la città, ma venne bloccato sia dalla presenza di unità del Regio Esercito sia da un sopravvenuto, preciso ordine emanato dal Capo di S.M. della Milizia stessa.

Nel corso di quelle prime e confuse ore, il comando della Divisione “M” aveva a sua volta preso contatto con la vicina 3a Divisione Panzergrenadieren tedesca al fine di coordinare un’eventuale azione militare congiunta sull’Urbe. Tuttavia, alla fine, né i tedeschi né la “M” si mossero. Nel settembre del 1944 il comandante della Divisione “M”, console generale Alessandro Lusana, scrisse un lungo memoriale a Mussolini sostenendo che il mancato intervento della propria unità era stato causato dalla presenza in zona della divisione corazzata “Ariete” del Regio Esercito che aveva costituito già la sera del 23 luglio, forse in vista di imminenti e importanti avvenimenti politici, un posto di blocco sulla Cassia in località La Storta. L’azione della divisione della Milizia fu però bloccata soprattutto all’ordine ricevuto la notte tra il 25 e il 26 luglio 1943 da parte del generale Galbiati di “continuare tranquillamente a sviluppare l’addestramento”.

Posto che l’incarico di Comandante Generale della Milizia era rivestito formalmente, sin dal 9 ottobre 1926, dallo stesso Benito Mussolini, l’onere di effettivo vertice operativo della Forza Armata ricadeva sul Capo di Stato Maggiore della Milizia. All’epoca della crisi del regime quest’incarico era ricoperto, ormai da più di due anni, dal luogotenente generale Enzo Emilio Galbiati, succeduto in quel ruolo ad Achille Starace il 15 maggio 1941.

Galbiati, classe 1897, monzese e “fascista dalla prima ora”, vantava un passato di valoroso combattente e Mutilato della Grande Guerra. Tra il 1922 e il 1937 aveva percorso tutto il cursus honorum, da squadrista a Ispettore Generale della Milizia Universitaria. Distintosi sul campo dapprima in Etiopia e, nel 1940-1941, sul fronte greco-albanese al comando di un raggruppamento CC.NN, era stato più volte citato nei bollettini di guerra.

Durante la 187a (e ultima) seduta del Gran Consiglio del Fascismo, dipanatasi la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, Galbiati non aveva mancato di criticare vivacemente e di votare contro l’ordine del giorno Grandi la cui approvazione, come è noto, pose praticamente fine al regime (1). La mattina del 25 fu quindi ricevuto dal Capo del governo a Palazzo Venezia per poi accompagnarlo, alle 14.00 di quello stesso giorno, al quartiere San Lorenzo duramente colpito nel bombardamento aereo sulla capitale del 19 precedente. Nel corso della notte sul 25, durante la successiva udienza mattutina e ancora in occasione della visita pomeridiana nella zona sinistrata, Galbiati chiese ripetutamente al Primo ministro un ordine che lo autorizzasse a procedere al sollecito arresto dei diciannove “traditori” del Gran Consiglio che avevano approvato il citato ordine del giorno Grandi. Mussolini però, confidando forse ancora una volta nel favore del sovrano e sottovalutando la portata politica del voto del Gran Consiglio, non lo ascoltò.

Intorno alle 22 di quel fatale giorno di luglio, infine, Galbiati, dopo aver scartato, alle otto di sera, la possibilità di un intervento della Milizia parlando con il vice segretario del Partito (e compaesano) Alessandro Tarabili, un’ora dopo negò, al console Caromio l’autorizzazione a far intervenire nel centro della capitale i reparti mobili della Milizia, telefonò al sottosegretario agli interni Umberto Albini pregandolo di comunicare “a chi in questo momento ha responsabilità di governo che la Milizia rimane fedele ai suoi principi e cioè: servire la Patria nel binomio Re e Duce”. Convito, come avrebbe dichiarato dopo la guerra nelle proprie memorie e in numerose interviste, che “l’indomani ci sarebbe stato l’armistizio” e che l’intera, confusa vicenda di quelle ore fosse avvenuta con l’avallo tacito del duce, Galbiati preferì chiamarsi fuori passando, il 26 luglio, le consegne ai generali del Regio Esercito Quirino Armellini e Giuseppe Conticelli, designati da Badoglio ai vertici della MVSN, uscendo silenziosamente di scena. Nel settembre del 1943, come racconta nelle proprie memorie Giorgio Pini (op. cit. in bibliografia) Mussolini ricevette Galbiati alla Rocca delle Caminate; in quell’ultima occasione il duce “non gli contestò il mancato ordine alla Milizia di reagire al suo arresto, ammettendo che il colpo di stato si era svolto in modo tanto diabolico da confondere tutti”. Galbiati fece successivamente una breve apparizione testimoniale al processo di Verona contro alcuni dei firmatari dell’ordine del giorno Grandi senza poi più apparire nelle cronache della Repubblica Sociale.

Uscito indenne dalle vicende del conflitto e da quelle dell’immediato dopoguerra, si ritirò sulla riviera ligure, a Bordighera, dove condusse una vita molto riservata sino alla morte, avvenuta a Solbiate, in provincia di Como, il 23 maggio del 1982.

Nel 1950 Galbiati aveva dato alle stampe un libro di memorie ove sosteneva ripetutamente la tesi che il 25 luglio del 1943 la divisione “M” non era ancora pronta, in quanto si trovava solo all’inizio di un vasto programma addestrativo, e che comunque la mancata reazione armata della Milizia al nuovo governo aveva di fatto evitato una guerra civile nel momento in cui “la guerra continuava” contro un nemico che già “calpestava il sacro suolo della Patria”.

Con la destituzione di Galbiati la Milizia, a oltre vent’anni dalla sua costituzione, cessò di esistere come forza armata indipendente. Inizialmente “incorporata” nel Regio Esercito (dando corso, contemporaneamente, alla trasformazione della Divisione corazzata “M” in “Divisione corazzata legionaria Centauro 2°”, n.d.r.) la M.V.S.N. fu infine sciolta, il 6 dicembre 1943, mediante il Regio Decreto 16 B emanato dal Governo Badoglio, ormai riparato da quasi tre mesi al sud. Questo stesso provvedimento dispose inoltre, per l’occasione, il definitivo scioglimento delle ultime quattro legioni, trasformate poco prima in reggimenti di fanteria, ancora presenti nell’Italia meridionale e insulare.

LE ORIGINI

Nel gennaio del 1922 ad Oneglia, in Liguria, e nel settembre successivo a Torre Pellice, in Piemonte, due diverse commissioni del Partito Nazionale Fascista (P.N.F.) si erano riunite al fine di organizzare ed inquadrare militarmente le varie “squadre d’azione” in vista dell’imminente Marcia su Roma.

Una volta giunto al potere, nell’ottobre del 1922, uno dei primi problemi che il fascismo si trovò di fronte fu quello di inquadrare organicamente, “conservandone intatto lo spirito e l’ardimento”, le squadre d’azione trasformandole in una milizia di stato e non più di partito. Mussolini incaricò a questo proposito un gruppo di “fedelissim” – Aldo Finzi, Cesare Maria De Vecchi, Emilio de Bono, Italo Balbo e Attilio Teruzzi – di predisporre uno specifico progetto di legge.

Dopo essere passato, il 28 dicembre 1922, attraverso il Consiglio dei Ministri approdando quindi, il 12 gennaio 1923, al Gran Consiglio del Fascismo, il provvedimento assunse forza di legge 14 gennaio 1923 in seguito all’emanazione del Regio Decreto n.31/1923 istitutivo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) che entrò a sua volta in vigore diciotto giorni dopo. La Milizia nacque pertanto ufficialmente il 1° febbraio 1923 quale “Guardia armata della rivoluzione”.

Gli articoli 1 e 2 dell’atto costitutivo – convertito successivamente in legge – recitavano testualmente: ”E’ istituita una Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La M.V.S.N. è al servizio di Dio e della Patria e agli ordini del Capo del Governo (2). Provvede, in concorso con i corpi armati per la Pubblica Sicurezza e con il Regio Esercito a mantenere all’interno l’ordine pubblico; prepara e conserva inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi dell’Italia nel mondo”.

L’articolo 7 aggiungeva inoltre che: “In caso di mobilitazione generale o parziale dell’Esercito e della Marina, la Milizia fascista viene assorbita dall’Esercito e dalla Marina in armi, a seconda degli obblighi e dei gradi militari dei singoli componenti”.

Anche se il Regio Decreto n.1292 del 4 agosto 1924 includeva la M.V.S.N. tra le Forze Armate dello Stato la sua istituzione fu, di per se stessa, un fatto politico di primissimo ordine, così commentato dallo stesso Mussolini in un proprio scritto del 1927:

La Milizia è il fiore, l’aristocrazia, l’anima guerriera del fascismo.

La creazione della Milizia fu il fatto fondamentale, inesorabile, che poneva il governo sopra un piano assolutamente diverso da tutti i precedenti e ne faceva un regime. Il partito armato conduce al regime totalitario. La notte del gennaio 1923, durante la quale fu creata la Milizia, segnò la condanna a morte del vecchio stato demo-liberale […] che da allora non fece che attendere di essere sepolto; il che accadde, con tutti gli onori, il 3 gennaio 1925.

La Milizia fu organizzata sulla falsariga delle antiche legioni di Roma con inquadramento ternario: tre squadre formavano un manipolo, tre manipoli una centuria, tre centurie una coorte e tre coorti una legione. Le legioni furono inquadrate in Gruppi ed i Gruppi in Zone CC.NN. (Camicie Nere) dipendenti dal Comando Generale di Roma.

Tale organizzazione fu modificata il 1° settembre 1929 attraverso l’eliminazione delle Zone e la costituzione in loro vece di quattro Raggruppamenti e di due comandi CC.NN. delle isole. Il 1° ottobre del 1935 i Raggruppamenti ed i Gruppi legioni furono soppressi e sostituiti nuovamente da comandi di Zona e da comandi di Gruppi di battaglioni CC.NN. Il 1° gennaio 1939, infine, si ritornò all’originaria ripartizione del 1923 su Zone, Gruppi legioni e legioni autonome.

La M.V.S.N. comprendeva, a sua volta, la Milizia Ordinaria e diverse Milizie Speciali. La Milizia Ordinaria, oltre a un ruolo speciale riservato ai quadrunviri ed ai luogotenenti generali che durante la marcia su Roma avevano esercitato funzioni di comando di colonna o assolto incarichi speciali, annoverava tre categorie di ufficiali: quelli in Servizio Permanente Effettivo (SPE), quelli compresi nei ruoli dei Quadri e, infine, gli iscritti alla Riserva. (Per la corrispondenza dei gradi della Milizia con quelli delle altre forze armate si veda la tabella a pag.44).

I comandanti di Zona, di Gruppo e di Legione, con gli ufficiali ed i militi addetti, erano tutti in SPE mentre tutti gli altri ufficiali erano, normalmente, in congedo.

Gli ufficiali generali, quelli superiori e i centurioni provenivano, a domanda, dalle file degli ufficiali delle categorie in congedo dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica mentre i capimanipolo e i sottocapi manipolo (equivalenti, rispettivamente, ai tenenti e ai sottotenenti) potevano essere reclutati direttamente anche tra i civili ed i sottufficiali. Gli ufficiali arruolati nella Milizia conservavano, indipendentemente dal rango rivestito nel corso degli anni nella M.V.S.N., il grado e l’anzianità loro attribuiti nelle categorie in congedo dell’arma di provenienza.

Secondo le leggi istitutive della M.V.S.N. alla nomina degli ufficiali si sarebbe dovuto provvedere mediante Decreto Reale; tale disposizione venne però sospesa dal R.D. n. 967 del 1925 mediante il quale si stabilì, sia pure transitoriamente, che le nomine venissero fatte, nel rispetto di nuove e più precise norme relative all’avanzamento, direttamente dal Comando Generale della Milizia (3).

L’arruolamento nella Milizia era di natura volontaria, avveniva su base provinciale ed era aperto ai cittadini dai 17 ai 50 anni giudicati in possesso di determinati requisiti fisici e morali. I militi non prestavano servizio permanente; erano studenti, operai, artigiani, impiegati o professionisti che venivano richiamati in servizio di volta in volta per motivi di ordine pubblico, per l’istruzione militare o in occasione di particolari cerimonie. La chiamata, che poteva essere disposta dal ministro degli Interni, dal Prefetto o dal Podestà, avveniva, tramite pubblici manifesti o, a livello di reparto, mediante cartolina precetto. La mobilitazione generale per motivi di ordine pubblico, viceversa, poteva essere disposta solo dal Capo del Governo.

L’armamento individuale e di squadra, praticamente identico a quello in uso nel Regio Esercito, era depositato presso le varie caserme della Milizia e veniva distribuito all’atto del richiamo, salvo essere restituito al termine dell’esigenza.

L’uniforme era invece presa in consegna e custodita dalla singola camicia nera. La Milizia indossò sempre (in Europa) la medesima divisa in grigioverde del Regio Esercito e, nelle colonie, quella color cachi, distinguendosi con l’adozione esclusiva della camicia e, in seguito, di una cravatta nera, oltre che per le fiamme nere apposte sul bavero della giacca e dalla presenza di piccoli fasci metallici in luogo delle stellette; il copricapo, infine, era il caratteristico fez nero sostituito, per alcune specialità, dal cappello alpino privo della penna.

La M.V.S.N. adottò inoltre sin dall’inizio, come segno distintivo, il cosiddetto “saluto romano”, sia a capo coperto che scoperto, nella forma del braccio destro teso obliquamente in avanti. Per tutti gli effettivi era ovviamente obbligatoria e indispensabile l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista.

Tra i compiti istituzionali della Milizia figurava in primo luogo la preparazione pre e postmilitare dei cittadini del Regno e la tutela dell’ordine pubblico, oltre a particolari funzioni specializzate di polizia. Queste ultime mansioni vennero assegnate a cinque Milizie Speciali: Ferroviaria, Portuaria, Postelegrafica, Stradale e Forestale.

Erano viceversa specialità della Milizia Ordinaria: la Milizia Confinaria, quella Universitaria, la Milizia Artiglieria Contraerea e la Milizia Artiglieria Marittima cui si aggiunse, in seguito, la Milizia Coloniale.

La M.V.S.N. disponeva inoltre di propri autonomi servizi sanitari, religiosi e amministrativi, oltre a una specifica opera di previdenza sociale. L’organizzazione, ben presto assai ramificava, annoverava pure un “Ispettorato delle Bande e Cori” affidato al console generale maestro Giuseppe Blanc, autore, tra l’altro, della musica dell’inno Giovinezza.

Non mancava neppure un Santo Patrono della Milizia. La Santa Sede elesse infatti, in occasione del Concordato, a protettore delle Camicie Nere il martire San Sebastiano, già legionario di Diocleziano sacrificatosi mentre svolgeva opera di apostolato tra i propri commilitoni.

LA M.V.S.N. IN GUERRA

Già a pochi mesi dalla sua costituzione la Milizia fu chiamata ad impiegare i propri primi reparti in operazioni militari. Nel settembre del 1923, infatti, tre legioni CC.NN. vennero mobilitate ed inviate in Libia (5). Agli ordini del console generale Vernè i militi si distinsero in occasione degli scontri di Beni Ulid, El Regima, El Zuetina e Got el Sass contribuendo alla riconquista della colonia.

La buona prova offerta dalle Camicie nere in Libia spinse il governo a rendere permanente la presenza di reparti legionari in colonia. Il Regio Decreto n. 1166 del 1° maggio 1924 istituì, a questo scopo, due legioni permanenti libiche: la 1a “Oea”, a Tripoli, e la 2a “Berenice”, a Bengasi.

La vera, prima e grande prova del fuoco fu però rappresentata dalla Guerra d’Etiopia del 1935 (6).

Per l’Esigenza A.O. (Africa Orientale) la Milizia mobilitò infatti sette inedite divisioni CC.NN. (“23 Marzo”, “28 Ottobre”, “21 Aprile”, “3 Gennaio”, “1° Febbraio”, “Tevere” e “Cirene”), oltre a due “Gruppi battaglioni CC.NN.”, una coorte della Milizia Forestale e altri reparti minori autonomi per un totale di 5.611 ufficiali e 162.390 camicie nere.

Da questi contingenti vennero distaccati i reparti che andarono a formare le colonne “Starace”, “Vernè”, “Agostini” e “Navarra”.

Mediamente, le divisioni CC.NN erano formate da tre legioni, oltre a un battaglione mitraglieri, un gruppo cannoni da 65/17, due battaglioni di complementi, un autoreparto e servizi.

Nel corso delle operazioni in Africa Orientale le camicie nere parteciparono alla conquista di Adigrat, Adua e Macallè, distinguendosi poi negli scontri di Canale Doria, Mai Beles, Passo Uarieu, Amba Aradam, Amba Tzellerè, Uork Amba, Passo Mecan, Lago Ascianghi, Ogaden, Daua Parma, Gondar e Les Addas.

Alla fine delle operazioni non tutti i reparti di CC.NN. mobilitati per l’Esigenza A.O. rimpatriarono; molti battaglioni formati da aspiranti coloni rimasero infatti nella appena proclamata Africa Orientale Italiana assolvendo, a un tempo, finalità di polizia coloniale e di colonizzazione del territorio.

La successiva guerra civile spagnola vide anch’essa la partecipazione delle camicie nere. Già nel dicembre 1936, a cinque mesi dall’inizio inatteso delle ostilità, sbarcarono a Cadice i primi reparti della Milizia. Seguirono, nel giro di pochissimi mesi, ben tre divisioni CC.NN (1ª “Dio lo vuole”, 2ª “Fiamme Nere” e 3ª “Penne Nere”) per un totale di oltre 20.000 legionari. Affrettatamente costituito, non molto ben inquadrato e affidato a generali del Regio Esercito dall’avventurosa carriera, il corpo italiano affrontò, già a marzo, la dura prova di Guadalajara. Dopo lo scioglimento della 1ª Divisione, il corpo venne contratto, nel settembre 1937, a due sole divisioni CCNN (più una proveniente dalle file del Regio Esercito, la “Littorio”) contraendosi ulteriormente, due mesi dopo, in omaggio alla politica di détente in atto con la Gran Bretagna, a un’unica divisione di Camicie Nere. Nell’ottobre del 1938 anche quest’ultima grande unità della Milizia venne sciolta lasciando infine in terra di Spagna, sino alla conclusione vittoriosa della guerra, la precedentemente menzionata Divisione “Littorio” con numerosi reparti minori e alcuni Gruppi di banderas (alias piccoli battaglioni) di CC.NN. inseriti nell’organico di tre brigate miste (elevate successivamente al rango, cartaceo, di divisioni) italo – spagnole denominate “Frecce Nere”, “Frecce Azzurre” e “Frecce Verdi”.

Nell’aprile del 1939 fu quindi la volta dell’invasione dell’Albania, cui parteciparono anche sei battaglioni della Milizia. Il 18 settembre di quello stesso anno fu quindi costituita, nell’ambito del programma di sempre più stretta unione di quel paese al Regno d’Italia, la Milizia Fascista Albanese (M.F.A.), composta da un Comando, con sede a Tirana, e da quattro legioni dislocate a Tirana, Coriza, Valona e Scutari. Reparti di questa nuova Milizia, agli ordini di ufficiali italiani e albanesi, vennero quindi impiegati durante la guerra di Grecia lamentando un alto numero di caduti e dando altresì una prova assai migliore rispetto a quella fornita, in quello stesso frangente, dai sei battaglioni albanesi inquadrati nel Regio Esercito e tosto ritirati dal fronte dopo i primi rovesci contrassegnati da diserzioni di massa e ammutinamenti.

Il 10 giugno 1940, data dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, la Milizia disponeva, apparentemente, di una massa imponente. La forza complessiva delle camicie nere presenti in Europa e in Africa superava, infatti, le 350.000 unità a fronte, per esempio, di meno di 100.000 SS tedesche da rapportare, a loro volta, a una popolazione germanica doppia rispetto a quella italiana. I limiti, da tempo noti, dell’organizzazione di base, subordinata sempre e comunque alle necessità dell’Esercito e, soprattutto, la questione centrale della qualità dei quadri (ufficiali e sottufficiali) della Forza armata (magari volonterosi, come avrebbe testimoniato una lunga sequela di caduti, specialmente durante la campagna di Grecia, ma professionalmente poco preparati nella maggioranza dei casi) avrebbero però determinato, ben presto, l’usura irrimediabile della “guardia della rivoluzione”.

Dopo l’esordio di ventotto battaglioni CC.NN. (inseriti pochi mesi prima nella compagine delle divisioni di fanteria del Regio Esercito quali reparti d’assalto ma privi di specifico addestramento) sul fronte alpino francese, fu quindi la volta della Grecia, che vide l’impiego di ben 56 battaglioni CC.NN.; le perdite subite furono molto elevate, tanto da determinare lo scioglimento, una volta conclusa quella campagna, di ben 27 di questi reparti reparti in quanto, data la composizione provinciale delle Legioni, si era constata l’impossibilità per le federazioni di rimpiazzare le perdite.

Nello stesso periodo si era inoltre consumata la vicenda delle uniche tre divisioni CC.NN. esistenti nel 1940 (“23 Marzo”, “28 Ottobre” e “3 Gennaio”), tutte consumatesi rapidamente in Africa Settentrionale tra il dicembre 1940 e il gennaio del 1941 tra Sidi el Barrani e Tobruch durante la prima controffensiva britannica che portò alla perdita dell’intera Cirenaica meritando, nel caso della “3 Gennaio”, il plauso degli stessi avversari.

Già il 29 ottobre 1940, peraltro, l’“Ordinamento di guerra della M.V.S.N.” aveva escluso l’istituzione di nuove grandi unità divisionali formate da camicie nere

Nell’Africa Orientale Italiana, nel frattempo, i complessivamente trenta battaglioni di camicie nere dislocati laggiù presero parte a ogni fase di quella campagna, dall’iniziale conquista della Somalia britannica fino alla difesa sui troppo estesi confini dell’Impero e alla lotta contro la risorta guerriglia etiope. Quest’impegno, culminato nella lunga battaglia di Cheren, terminò, formalmente, con la caduta di Gondar nel novembre del 1941. Nel corso di tutto il 1942, tuttavia, gruppi di bande formate da elementi nazionali (in primo luogo proprio camicie nere) e nativi continuarono combattere in Africa Orientale un’ultima, vivace guerriglia nel Galla Sidama fronteggiata dalla risorta armata del Negus affiancata da alcuni battaglioni inglesi e greci.

L’inatteso, duro e spietato fronte balcanico richiese a sua volta, tra Iugoslavia, Albania e Grecia, l’impiego, soprattutto in compiti antiguerriglia, di complessivamente ben 144 battaglioni di camicie nere tra il 1941 e il 1943.

In Russia la Milizia fu inizialmente rappresentata, nell’ambito del Corpo di spedizione (CSIR) inviato laggiù nel 1941, dalla 63a Legione “Tagliamento”. Seguirono, l’anno successivo, data anche l’ottima prova offerta da quell’unità, unico reparto della M.V.S. N. promosso sul campo alla dignità di unità scelta “M”, tre Gruppi Battaglioni “M” (“Montebello”, “Leonessa” e “Valle Scrivia”) inquadrati a loro volta nei due Raggruppamenti C.C.N.N. “3 Gennaio” e “23 Marzo”.

Le perdite totali dei dodici battaglioni della Milizia sul fronte orientale furono, per contro, assai elevate: dopo essere stati impiegati come riserva d’armata per fronteggiare le offensive lanciate sul Don dall’Armata Rossa nell’estate e nell’inverno del 1942, il 90% dei comandanti di battaglione, il 70% degli ufficiali ed il 55% delle camicie nere caddero in territorio sovietico.

Nel frattempo, con decorrenza 1° ottobre del 1941, erano stati costituiti i primi battaglioni “M” sopra menzionati. Si trattava di reparti scelti destinati a rappresentare l’élite dei battaglioni CC.NN. e a fregiarsi delle ben presto ambite “M” smaltate di rosso sovrapposte ai fascetti sulle fiamme nere del bavero della giubba.

I Battaglioni “M” furono inquadrati, anziché in Legioni, in gruppi, ciascuno con una forza di circa 1.800 militi su due battaglioni d’assalto e uno armi di accompagnamento.

Complessivamente furono 22 i battaglioni CC.NN. – oltre ai 4 della neonata specialità “da sbarco” concepita nel 1941 in vista della mai realizzata invasione di Malta – che divennero “M” nel corso del conflitto.

Una menzione particolare meritano inoltre le specialità della Milizia Artiglieria Contro Aerei (MACA, già DICAT) e della Milizia Artiglieria Marittima (MILMART). La prima, costituita su 22 legioni forti di ben 85.000 camicie nere il 10 giugno 1940 e arrivata nel 1943 ad annoverare un numero più che doppio di effettivi, aveva il compito di provvedere alla difesa territoriale contro l’offesa aerea nemica armando un buon numero di batterie a.a.

Alla MILMART era viceversa affidata, alle dipendenze operative della Regia Marina, la gestione delle artiglierie fisse schierate in difesa costiera ed era organizzata su 10 legioni che impiegarono, per tutta la durata della guerra, oltre 30.000 camicie nere. Gli ufficiali provenivano dalle categorie in congedo dell’arma dell’artiglieria e, in misura minore, delle file degli ufficiali anziani della Regia Marina mentre la truppa era costituita (analogamente alla MACA) in buona parte da volontari esenti da obblighi militari schierando così giovanissimi avanguardisti, riformati, mutilati, reduci della Grande Guerra e, addirittura, non vedenti, destinati in virtù della loro particolare sensibilità acustica, all’impiego degli aerofoni.

Quasi 40 battaglioni CC.NN. della riserva, formati da elementi anziani e territoriali, furono inoltre assegnati, nel corso della guerra, a compiti di difesa territoriale e costiera.

L’8 settembre del 1943 i reparti della Milizia rimasti al nord della congiungente Napoli – Bari e quelli di stanza nei Balcani e in Francia rimasero, date le circostanze, piuttosto compatti schierandosi, subito dopo (fatta salva l’isolata eccezione del II Gruppo CC.NN. da sbarco, rimasto in Corsica dopo che per primo vi aveva messo piede, e di alcune coorti nell’Egeo) a fianco dei tedeschi e aderendo successivamente, in parte, alla Repubblica Sociale trasmigrando nelle file della Guardia Nazionale Repubblicana (vera e propria erede della vecchia Milizia) e dell’Esercito Nazionale del Maresciallo Graziani.

Al sud (una volta che si prescinda da alcuni battaglioni passati a ranghi pressoché completi dalla Sardegna al continente al fianco dei tedeschi) i circa dodici battaglioni, ormai incorporati di nome e di fatto nel Regio Esercito, impegnati in compiti di difesa costiera in Campania, nelle Puglie e in Calabria al momento dell’armistizio seguirono le travagliate vicende della locale VII Armata venendo però ben presto sciolti.

Le quattro restanti, ultime grandi unità di “legionari” già camicie nere, tra Legioni e Gruppi Battaglioni da sbarco, rimaste in Sardegna e in Corsica e prive ormai di un Capo di Stato Maggiore che le tutelasse e delle loro stessa originaria ragione d‘esistere, dopo essere state dapprima sveltamente trasformate in altrettanti reggimenti di fanteria, furono a loro volta sciolte per ordine del governo Badoglio all’inizio del 1944 (7).

Ad oltre sessanta anni da quegli avvenimenti, sopite le esasperazioni e le strumentalizzazioni di parte, alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale va giustamente riconosciuto un proprio ruolo nella storia militare italiana testimoniato dagli oltre 14.000 suoi Caduti e da 20 Ordini militari di Savoia, 90 Medaglie d’oro, 1.232 d’argento e 2.421 di bronzo meritate dalle camicie nere in Libia, in Africa Orientale, in Spagna e su tutti i fronti del secondo conflitto mondiale dove furono impegnate forze nazionali.

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