Da Marzo 2016 è in distribuzione in tutte le librerie il mio nuovo libro, “L’ultimo comandante delle camicie nere. Enzo Emilio Galbiati”, edito dalla casa editrice Mursia di Milano.

IL GENERALE ENZO GALBIATI

Una biografia dell’ultimo Capo di S. M. della Milizia fascista

di Carlo Rastrelli

con la collaborazione di Paolo Virgili

Storia Militare di Febbraio 2007

L’ULTIMO GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO

Il 24 luglio 1943 a Roma, a partire dalle ore 16.30, cominciano ad affluire a Palazzo Venezia i gerarchi membri del Gran Consiglio del Fascismo. Nonostante l’insopportabile calura estiva, tutti indossano la prescritta sahariana nera del partito ad eccezione dei generali Tringali Casanova e Galbiati che indossano l’uniforme grigio verde della Milizia.

Enzo Emilio Galbiati, nella sua qualità di capo di stato maggiore della MVSN (Nota 1), è membro di diritto del Gran Consiglio, del Direttorio Nazionale e del Consiglio Nazionale del Partito Fascista e consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Il Gran Consiglio non si riunisce dal 1939 e quella che sta per cominciare sarà la sua 187^ ed anche ultima seduta.

La seduta inizia poco dopo le 17.00 del 24 luglio e termina intorno alle ore 2.30 del 25 luglio 1943 (Nota 2).

Il generale Galbiati, giunge a palazzo con una decina di minuti di anticipo e si avvede immediatamente che, rispetto alla consolidata ritualità del momento, al balcone del palazzo non è issato il gagliardetto del partito.

Inoltre, la mattina stessa del 24 luglio, il segretario del Duce, De Cesare, lo aveva cercato telefonicamente per comunicargli che lo stesso Mussolini non voleva la sera  a palazzo la presenza dei Moschettieri.

Una volta salito lo scalone e giunto nella sala del Gran Consiglio, Galbiati viene immediatamente avvicinato dal conte Grandi che, con una nutrita documentazione tra le mani, gli chiede: “Galbiati, tu firmi?”.

Galbiati non fa in tempo a rispondere che non sa di che cosa si tratti, che Mussolini sopraggiunge nella sala.

Galbiati prende posto all’ala destra del tavolo disposto a ferro di cavallo, con Ciano alla sua sinistra e Marinelli alla sua destra. Apre la seduta Mussolini con una relazione sulla condotta della guerra e sulla situazione del paese che dura quasi due ore.

L’unica interruzione alla lunga relazione del duce è proprio del generale Galbiati che interviene per precisare le circostanze e le responsabilità circa la fucilazione di un capo manipolo della Milizia in Sicilia per abbandono del posto.

Galbiati chiede ed ottiene la parola intorno alle ore 0,45.

Premette immediatamente che non ha firmato né sottoscriverà l’ordine del giorno Grandi (Nota 3) perché la situazione è talmente grave che nessun ordine del giorno potrà porvi rimedio.

Dopo aver puntualizzato che il conflitto ha assunto proporzioni assolutamente impari rispetto alle risorse del Paese, Galbiati nega con decisione che, come da altri affermato, vi sia frattura tra partito e paese, tra fascismo e nazione.

Se vi fosse frattura tra fascismo e nazione, essa sarebbe ancora più visibile tra il paese e la Milizia che del partito è l’aspetto armato. La Milizia invece, che continua a combattere valorosamente a fianco delle altre forze armate del regno, gode di alto prestigio. La frattura, insiste Galbiati, c’è  “tra fascismo come idea e come fede ed alcuni di voi che accolgono nel proprio cuore l’ipotesi del tradimento e che sono capaci di ogni rinuncia, anche di quella dell’onore”.

Dopo aver richiamato un eroico fatto d’armi compiuto dalle camicie nere in Grecia, Galbiati ribadisce che non c’è e non ci deve essere alcun ordine del giorno da votare, e se mai si dovesse ritenere imprescindibile un ordine del giorno, esso dovrebbe dire al nemico che “siamo pronti a morire con dignità” ed agli italiani che “ la guerra continua con incessante fede per l’onore della bandiera italiana nell’inscindibile binomio Re e Duce”.

Lo stesso conte Grandi, nelle sue memorie, riconosce al discorso di Galbiati grande vivacità e così lo riassume: ” Non esiste- egli dice- frattura tra fascismo e nazione, bensì tra alcuni disfattisti e la grande maggioranza del partito il quale è e rimarrà fedele a MussolinI è pronto a difenderlo ed a seguirlo sin dove egli vorrà. E’ nelle mani del duce che noi abbiamo fatto il nostro giuramento ed è soltanto il suo comando che noi riconosciamo. Ogni altra alternativa è un tradimento verso il fascismo e la nazione. Esso non domanda che di combattere e vincere. Ponderate bene prima di prendere le vostre decisioni, conclude Galbiati con voce minacciosa”.

Nel 1944, lo stesso Mussolini, nella sua ”Storia di un anno”, scriverà: “una risposta alle critiche di Grandi, ispirate al più cieco disfattismo, fu data dal generale Galbiati, il quale, più che un discorso politico, ne fece uno lirico, da soldato e vecchia camicia nera”.

Sono le ore 2,30 di domenica 25 luglio quando Mussolini concede la votazione per appello nominale dell’ordine del giorno Grandi.

Votano a favore diciannove gerarchi: Grandi, Federzoni, De Bono, De Vecchi, Ciano, De Marsico, Acerbo, Pareschi, Cianetti, Balella, Gottardi, Bignardi, De Stefani, Rossoni, Bottai, Marinelli, Alfieri, Albini e Bastianini.

Rispondono di no in sette: Scorza, Bigini, Polverelli, Tringali Casanova, Frattari, Buffarini Guidi e Galbiati.

Si astengono Suardo e Farinacci che vota per il proprio ordine del giorno.

A fine seduta la maggior parte dei gerarchi lascia rapidamente il palazzo.

Galbiati, insieme a Buffarini, Polverelli e Tringali Casanova, raggiunge il duce nel suo studio.

Mussolini è in compagnia di Scorza e la discussione è tutta incentrata sulla valenza meramente interna al partito e dunque sulla non costituzionalità del documento che si è appena votato.

Mussolini congeda gli ultimi fedelissimi comunicando loro che l’indomani si recherà dal Re per proporgli la nomina di ministri militari e di diffondere un messaggio reale che rafforzi l’unione di tutti gli italiani.

Il 25 luglio 1943

L’indomani mattina Galbiati si reca a Palazzo Venezia e chiede udienza a Mussolini.

Viene ricevuto intorno a mezzogiorno e presenta al duce un promemoria scritto durante la notte.

Nel promemoria si fa esplicito riferimento alla seduta del Gran Consiglio ed ai membri “traditori” che Galbiati testualmente definisce “dei malati di fegato da inviare a Chianciano per un lungo, forzato soggiorno”.

Galbiati richiede ripetutamente a Mussolini un ordine che lo autorizzi a procedere all’arresto dei diciannove “traditori” del Gran Consiglio. Mussolini, ancora confidando sulla lealtà ed amicizia del re e sull’irrilevanza costituzionale del voto del Gran Consiglio, non lo ascolta.

Non sa ancora che proprio il re da tempo consigliava ai vari “congiurati” la convocazione del Gran Consiglio perchè un voto di sfiducia a Mussolini da parte dell’organo supremo del fascismo avrebbe offerto alla corona il pretesto costituzionale per un intervento finalizzato alla rimozione del duce.

L’udienza dura trenta minuti e Galbiati rientra al comando generale della Milizia ove, appena giunto, lo si informa che è immediatamente convocato a palazzo Venezia.

Giunto al palazzo, trova Mussolini che sta per uscire per far rientro a villa Torlonia. Il duce lo invita ad accompagnarlo e Galbiati coglie l’occasione per comunicargli che a Roma gira la notizia di una sua imminente visita alla zona bombardata di San Lorenzo.

Dopo un attimo di riflessione, Mussolini ordina di dirigere verso il quartiere bombardato il 19 luglio precedente.

A San Lorenzo è grande la sorpresa quando la gente vede arrivare il duce. “Non una parola sola di imprecazione della folla, ma parole di pietà ed anche qualche parola di fede” scriverà Galbiati nelle sue memorie.

Con fatica il duce rientra nell’auto e durante il tragitto verso la via Nomentana conferma che nel pomeriggio, alle ore 17.00, andrà dal re.

Alle 15.20 l’auto presidenziale varca i cancelli di villa Torlonia ed il duce congeda Galbiati con le seguenti parole: “Dopo l’udienza reale vi telefonerò”.

Rientrato al comando di viale Romania, Galbiati, intorno alle ore 17.00, incontra il colonnello delle SS Dolmann. L’alto ufficiale tedesco è già perfettamente informato di quanto accaduto nella notte ed a lui Galbiati espone in sintesi il promemoria predisposto nella notte ed illustrato quella mattina al duce.

I due ufficiali si congedano con l’impegno di Dolmann di organizzare per il giorno seguente un incontro con il maresciallo Kesselring.

Intanto il tempo passa “con affanno micidiale”. Si fanno le 18.15 e del duce ancora nessuna notizia. Galbiati prende contatto con Palazzo Venezia e con villa Ada dove viene a sapere che l’auto del duce ha lasciato la residenza reale da circa mezz’ora.

Si infittiscono le telefonate con villa Torlonia e con la sede del partito quando, intorno alle 19.30, il generale Conticelli, sottocapo di S. M. della Milizia, relaziona il suo superiore circa un incontro che ha appena avuto con il capo della polizia, Chierici: ”Mussolini ha dato le dimissioni. Il re ha incaricato Badoglio per il nuovo governo. Per le strade molta gente, molte bandiere e molte truppe”.

Nel frattempo arriva al comando generale il vice segretario del PNF Tarabini che racconta a Galbiati di come il segretario del P.N.F. Scorza sia scomparso nel nulla. I due gerarchi, entrambi originari di Monza, dibattono se trattasi di colpo di stato o

crisi di governo. La confusione ed il dubbio nascono da alcune parole pronunciate dallo stesso Mussolini durante la notte del Gran Consiglio laddove, tra le soluzioni possibili, non aveva escluso quella di rimettere il suo mandato nelle mani del Re.

Il dubbio si dissolve all’improvviso quando in Piazza Romania elementi corazzati della divisione del Regio Esercito Ariete puntano i loro cannoni verso il comando della Milizia.

Per le strade intanto ufficiali e legionari vengono aggrediti dalla folla che strappa loro i fascetti dal bavero e la camicia nera.

Galbiati immediatamente dispone a tutti i comandi periferici della Milizia di non provocare ma di reagire con energia a tutte le provocazioni.

Tra le 20.00 e le 22.00, Galbiati riceve tutti gli ufficiali presenti al comando generale. Molti di loro propendono per un’azione di forza.

Intorno alle 22.10, Galbiati assume la decisione più difficile della sua vita e la espone, condividendola, con i generali Tarabini, Galamini, Conticelli e Semadini.

Sono le 22.30 quando Galbiati chiama al telefono il sottosegretario agli interni Albini al quale trasmette la seguente dichiarazione: “Ti prego di comunicare a chi in questo momento ha responsabilità di governo che la Milizia rimane fedele ai suoi principi e cioè di servire la Patria nel binomio Re e Duce”.

Alle 22.35 Galbiati è raggiunto telefonicamente dal generale Ambrosio che lo rassicura che Badoglio ha ricevuto ed apprezzato il suo messaggio e, poco prima della mezzanotte, arriva il generale Ferone che consegna la seguente lettera di Badoglio:  “Il sottoscritto capo del Governo, per ordine di S.M. il Re e Imperatore, comunica a V.E. che dovete conservare la vostra carica di capo di stato maggiore della MVSN fino a che a V.E. si presenterà l’eccellenza il generale Quirino Armellini, designato vostro successore. Tale presentazione avverrà nella giornata di domani, 26 luglio corrente. V.E. riceverà altro incarico”.

Al generale Farone, Galbiati consegna la propria risposta nella quale scompare ogni riferimento al duce: “Assicuro V.E. che la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che dalla sua costituzione, il 1 febbraio 1923, è stata ed è schierata con le altre forze armate ovunque l’onore delle bandiere italiane lo abbia richiesto, rimane fedele al sacro principio di servire la Patria”.

Commiato dalla Milizia

Alle ore 10.00 del 26 luglio, Galbiati convoca a rapporto tutti i circa ottanta ufficiali presenti al comando di viale Romania.

Ad un innaturale “Saluto al Duce”, segue una breve relazione sulla situazione e viene letta la corrispondenza intervenuta con il maresciallo Badoglio.

Galbiati aggiunge che ha avuto a disposizione molte ore per meditare sul da farsi: “Avrei voluto e potuto ordinare ai pochi battaglioni della Milizia a mia disposizione di reagire con la massima violenza. Ma ci saremmo trovati di fronte altri soldati d’Italia ed avremmo iniziato una guerra fratricida della quale si sarebbero avvantaggiati solo gli anglo-americani che già calpestano il sacro suolo della Patria e che il Re e Badoglio ci confermano come nemici, assicurando che la guerra continua e che l’Italia tiene fede alla parola data”.

“La guerra continua e la Milizia deve rimanere al suo posto di combattimento e solo io debbo lasciare l’incarico che datomi personalmente da Mussolini cessa con le dimissioni del Duce”.

Al termine del rapporto viene annunciato l’arrivo del generale Armellini.

Galbiati riceve il nuovo comandante della Milizia nel suo studio e questi gli conferma che il maresciallo Badoglio medita di offrirgli un altro incarico e che lo prega, nel frattempo, di rimanere al comando della Milizia. Galbiati risponde di non poter accettare ”per evidenti ragioni di principio e di dignità” ed esprime il desiderio di seguire le sorti del duce.

I due ufficiali a tal punto convengono di predisporre e far diffondere un ordine del giorno che ufficializzi l’avvenuto cambio della guardia al vertice della quarta forza armata dello Stato, che riconosca il passato glorioso della Milizia e faccia cessare l’ ostilità popolare contro i legionari.

Nel pomeriggio in tutte le strade di Roma e d’Italia viene affisso il seguente manifesto: “ La Milizia fa parte integrante delle Forze Armate della nazione e con esse collabora, come sempre in piena comunità di opere e di interessi, per la difesa della Patria”.

Sone le 11.15 quando Galbiati passa in rassegna il reparto d’onore schierato nel cortile, sale sulla macchina, che ancora porta il suo guidoncino di riconoscimento, e , accompagnato come sempre dal suo ufficiale di ordinanza, il seniore Giuseppe Marinelli, si dirige verso la propria abitazione romana lasciando, per sempre, il comando generale di viale Romania.

Il giorno successivo alcuni giornali nazionali pubblicano la notizia che il generale Galbiati, ex capo di S.M. della MVSN, è stato posto agli arresti domiciliari sotto il vincolo della parola d’onore; immancabilmente il 28 luglio, due carabinieri prendono posizione sul portone di casa di Galbiati, ufficialmente con la consegna di “proteggerlo” nella realtà di impedirne qualsivoglia movimento e contatto.

Solo il 4 agosto successivo, grazie all’interessamento del generale Conticelli, rimasto al comando generale della Milizia con l’incarico di nuovo capo di stato maggiore, Galbiati riacquista la libertà di movimento e la possibilità di telefonare al figlio Renato.

Le origini e la Grande Guerra

Enzo Emilio Galbiati nasce a Monza il 23 maggio 1897.

I genitori, Giovanni e Luigia Rola, tessitore e cappellaio il padre e casalinga la madre, ne curano la crescita e l’educazione per pochi anni. Difatti il giovane Enzo perderà molto presto entrambi i genitori: il padre nel 1907 e la madre solo quattro anni dopo.

Ultimo di cinque figli, Enzo, unitamente agli altri tre fratelli, viene affidato alle cure della sorella maggiore Delfina e diviene ben presto un ragazzo forte e robusto, alto quasi un metro e settantacinque,

Frequenta sino al quarto anno di ragioneria allorquando la chiamata alle armi nella prima guerra mondiale cambia la vita ed il destino del giovane Enzo e di tutta la sua generazione.

Il Savino, nella sua “La Nazione Operante”, scrive che Galbiati partecipa alla prima guerra mondiale come caporale degli arditi del 153° Fanteria e come tenente del 151° fanteria della Brigata Sassari e che rimane ferito, nell’agosto del 1917, a Dosso Faiti.

Dallo stato di servizio del tenente colonnello (Nota 4) del Regio Esercito Italiano Enzo Emilio Galbiati, custodito negli archivi del Ministero della Difesa a Roma, risulta effettivamente che Galbiati viene richiamato alle armi per mobilitazione presso il Distretto militare di Genova il 25 settembre 1916 ed aggregato al 23° reggimento di fanteria di Novara.

Il 17 febbraio 1917 viene aggregato, su sua domanda, al reparto d’assalto (Arditi) del 153° reggimento di Fanteria ed inviato sul fronte carsico.

Il 6 luglio 1917 viene promosso caporale ed il 20 agosto 1917, sul monte Faiti durante uno scontro tra pattuglie, viene ferito alla gamba sinistra.

Dopo alcune settimane di ospedale, partecipa a Ravenna al corso per allievi ufficiali di complemento. Rientra al fronte nel febbraio del 1918 e, come sottotenente di complemento prima con il 45° reggimento e dal 6 giugno 1918 con il 151° reggimento di fanteria della Brigata Sassari, partecipa alla resistenza sul Piave ed alla offensiva vittoriosa su Vittorio Veneto.

Nel gennaio 1919 frequenta la scuola di ginnastica militare presso il Comando Supremo di Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, consegue il relativo diploma e viene destinato, come istruttore di corsi d’educazione fisica militare per ufficiali, presso il Comando del IV Corpo d’armata.

Gli anni dello Squadrismo e la crisi del 1924  

Sempre il Savino, nella sua monumentale raccolta di biografie di personalità del fascismo, ed il Chiurco, nella sua “Storia della rivoluzione fascista” scrivono  che Galbiati aderisce ai Fasci di Combattimento sin dal 1919. Partecipa a tutte le spedizioni nella “rossa Brianza” come squadrista e, successivamente, come comandante di squadristi. Subisce numerosi arresti e processi, fra cui uno che gli costa la detenzione di undici mesi.

Da un volumetto ai giorni nostri praticamente introvabile, intitolato “Il console Enzo Galbiati e la sua galera”, scritto da Giacomo Onofri e pubblicato dalle Arti Grafiche Colombo & Poggiali di Milano nel marzo 1924, riusciamo ad acquisire maggiori informazioni su quell’avvenimento di oltre ottanta anni orsono.

In un’afosa sera d’agosto del 1923, il console Galbiati, comandante la venticinquesima legione MVSN di Monza, è intento a giocare a scacchi presso il caffè Galizia, noto ritrovo dei fascisti monzesi. All’improvviso sopraggiungono dei fascisti che avvertono Galbiati che in via Felice Cavallotti “un compagno di fede” è stato aggredito. Galbiati dispone immediatamente che una squadra, al comando di un centurione, si rechi immediatamente sulla via dell’agguato, “appuri i fatti e nel caso agisca”. Onofri a tal punto scrive che “avvenne che, nel compiere l’inchiesta, taluno de’ componenti la squadra fascista esorbitasse da’ limiti dell’azione ordinata”.

Il fatto desta molto scalpore nell’opinione pubblica brianzola ed il Galbiati, che orgogliosamente “sta in galera e non invidia nessuno di quelli fuori” subisce una lunga detenzione ed un processo che naturalmente lo assolverà da ogni responsabilità diretta di quanto accaduto.

All’insurrezione dell’ottobre 1922 comanda, con il grado di seniore, le squadre del monzese e, nei giorni della marcia su Roma, “vanto che nessuno potrà mai menomargli”, Galbiati viene chiamato a comandare il presidio a difesa del “Popolo d’Italia”, il quotidiano fondato e diretto da Mussolini, sito in via Lovanio a Milano e dalle cui stanze il futuro duce segue  e coordina i fatti insurrezionali che, di li a breve, lo porteranno alla convocazione a Roma quale presidente designato del consiglio dei ministri.

Galbiati aderisce alla MVSN sin dalla sua costituzione, il 1 febbraio 1923, e, con il grado di console, viene designato al comando della 25^ legione “Ferrea” di Monza.

Il 10 giugno 1924 l’onorevole Giacomo Matteotti, leader del Partito socialista unitario, viene rapito ed ucciso a Roma. Come scrive De Felice “L’impressione destata dalla scomparsa del deputato socialista fu vivissima a livello politico e di opinione pubblica ed il sospetto che Mussolini vi fosse in qualche modo implicato fu pressoché generale. Si trattò probabilmente della punta massima di isolamento mai toccata dal fascismo e dal suo duce”.

Sembra avvicinarsi rapidamente ed inevitabilmente la fine di Mussolini, del suo governo e del fascismo. Nel mese di dicembre, Galbiati organizza nella città di Firenze una riunione di consoli della Milizia provenienti da diverse province dell’Italia centrale e settentrionale. In tale occasione si decide di portarsi a Roma, singolarmente ed all’insaputa dei comandi superiori, e di presentarsi a palazzo Chigi, allora come adesso sede del capo del governo, e di chiedere con un pretesto udienza al duce per poi indurlo ad una chiarificazione risolutrice.

I consoli arrivano a Roma il 30 dicembre 1924. Tutti danno come imminenti le dimissioni di Mussolini e la caduta del governo. Al mattino seguente i settanta consoli si presentano simultaneamente a Palazzo Chigi e chiedono udienza a Mussolini con il pretesto di formulargli gli auguri di buon anno.

Il duce li riceve presente il ministro delle finanze De Stefani.

Dopo le presentazioni, il dialogo tra i consoli ed il duce procede “ spigliato, stringato e sferzante”.

Mussolini dichiara che gli è stato gettato tra i piedi un cadavere che ha fatto il vuoto intorno a sé e al fascismo.

Ma i consoli ribattono che la Milizia è fedele e pronta. Il console Taraballa chiede se un cadavere è troppo per una rivoluzione.

A questo punto Mussolini ha una reazione dura e dichiara che non vuole alcuna imposizione ma una Milizia che accetti ciecamente la disciplina che le viene imposta.

Alcuni consoli indietreggiano ma altri, i più decisi, ribadiscono che senza una reazione la rivoluzione può considerarsi fallita e minacciano di recarsi in gruppo a costituirsi dal Procuratore del re.

Mussolini congeda bruscamente i consoli che uscendo dalla sala, sempre tramite il Tarabella, dichiarano” Ci mettiamo sull’attenti Duce ma ce ne andiamo sbattendo la porta”.

Renzo De Felice, nella sua monumentale biografia su Mussolini, conferma che “l’incontro fu drammatico. O Mussolini abbandonava la sua politica incerta e possibilista o i consoli l’avrebbero sconfessato con un atto clamoroso: essi si sentivano solidali con tutti i fascisti in carcere e si sarebbero pertanto consegnati tutti insieme alla giustizia!”.

Difatti Galbiati e Taraballa decidono di rivedersi nel pomeriggio unitamente ai consoli più determinati al fine di predisporre un memoriale di auto accusa per il Procuratore del re e di convenire circa una immediata mobilitazione delle rispettive legioni.

Prima che la riunione abbia inizio, Galbiati e Taraballa vengono avvicinati da alcuni ufficiali del comando generale che comunicano loro che sono attesi prima di sera dal comandante generale della Milizia, generale Gandolfo, per delle comunicazioni importanti. Vengono avvertiti gli altri consoli e tutti insieme si recano al palazzo del Viminale convenendo che sarebbe stato proprio Galbiati a parlare a nome di tutti.

Il generale Gandolfo, “con assoluta affabilità” comunica che il duce, a parte la grave infrazione disciplinare, ha giudicato l’iniziativa come un segno di fedeltà alla causa ed alla sua persona.

Galbiati, a nome di tutti, conferma l’interpretazione ribadendo la richiesta al duce circa la necessità di un’azione risoluta e chiedendo maggiore attenzione e rispetto per la Milizia.

Usciti dall’incontro e negli stessi corridoi del Viminale i consoli decidono di sospendere la mobilitazione delle legioni e di procedere alla elezione di una “Pentarchia” di consoli, (Galbiati, Tarabella, Tamburini, Testa e Candelori) la quale avrebbe dovuto seguire la situazione politica e decidere eventuali azioni dando ordini a tutti i reparti della Milizia all’insaputa del comando generale e dei comandi di raggruppamento.

Si conviene comunque di mobilitare la legione “Ferruccio” di Firenze che, al comando del console Tamburini, arriva nella capitale e sfila per le vie del centro e sotto i balconi di Piazza Colonna.

Il colloquio tra i consoli e Mussolini avviene il 31 dicembre 1924 e la sfilata della legione “Ferruccio” il 1 gennaio 1925; il 3 gennaio 1925 il duce pronuncia il celebre discorso, “breve ma durissimo”, con il quale , dopo aver sfidato le opposizioni ad avvalersi dell’articolo 47 dello Statuto del Regno che prevedeva la messa in stato d’accusa dei ministri, “si assume la responsabilità politica, morale e storica di quanto avvenuto”.

Con il discorso del 3 gennaio e con le successive leggi liberticide, il fascismo diviene Regime.

Sempre nei primi del 1925, di ritorno da una riunione della “Pentarchia” a Goito, nel mantovano, la macchina su cui viaggiano Galbiati e Taraballa ha un incidente sulla via Emilia e Galbiati, gravemente ferito, viene ricoverato presso la clinica universitaria di Modena.

Rapidamente rimessosi, nel maggio del 1925 Galbiati è il promotore della costituzione, a Milano, di un ordine antimassonico denominato “Ordine dei soldati per la buona guerra” finalizzato a combattere e ad arginare l’attività sotterranea della massoneria ritenuta ostile al regime.

La battaglia antimassonica viene combattuta esclusivamente a mezzo stampa ma il 20 luglio determina , a seguito di un Consiglio di Disciplina, la radiazione dalla Milizia “per gravi mancanze disciplinari”

Il 31 luglio la federazione di Milano ordina a tutti i fascisti iscritti all’Ordine  antimassonico di rassegnare entro 24 ore le dimissioni. Segue un duro telegramma di Galbiati (“ Poiché non mi è più dato per disciplina d’appartenere all’Ordine antimassonico, chiedo a quale loggia massonica per disciplina debbo iscrivermi”) che, il 10 agosto, determina anche l’espulsione dal partito “per gravi atti di indisciplina compiuti e continuati”.

Seguono mesi di attività antimassonica clandestina, di perquisizioni delle abitazioni e di arresti “intermittenti”da parte della polizia.

L’Ordine, presieduto dal console Tarabella,  rimane in vita circa due anni sino a quando, a seguito del fallito attentato a Mussolini di presunta matrice massonica ordito dal generale Capello e dall’onorevole Zaniboni, nel novembre 1925, il parlamento approva la legge che proibisce le associazioni segrete ed in particolare la massoneria.

Renzo De Felice tuttavia acutamente rileva che la lotta alla massoneria non fu altro che un pretesto e che altre, e più squisitamente politiche, furono le ragioni del contrasto e della temporanea radiazione di Galbiati dal partito e dalla Milizia.

Scrive difatti il grande storico scomparso: “Divenuto segretario del partito, Farinacci , con l’evidente scopo di assumere il pieno controllo del fascismo, diede ben presto vita ad un’azione contro i consoli che avevano preso parte al pronunciamento della fine del 1924 e che avevano subito dopo costituito una “pentarchia”.

Comunque, nel dicembre del 1925, “ Il Partito e la Milizia, come scrive Galbiati, ci riaccoglievano nel loro grembo!”.

La campagna in Africa Orientale

Dopo gli oltre tre anni trascorsi al comando della legione monzese, Galbiati assume il comando della 116^ legione “Sabina” di Rieti, e, nel giugno 1927, della 102^ legione “Cacciatori del Tevere” di Perugia.

Il 1 luglio 1928 assume il comando dell’8^ legione “Cacciatori delle Alpi” di Varese che mantiene sino al 1 aprile 1931 quando viene chiamato ad assumere il comando della 1^ legione “Sabauda” di Torino.

Il periodo piemontese è arricchito dal lieto evento della nascita dell’unico figlio di Galbiati, Renato (Torino, 8/12/1932, Milano 6/5/1986).

Promosso console generale, il 1 luglio 1933 viene chiamato a Roma per assumere il comando del XXI gruppo battaglioni CC.NN. dell’urbe che lascia solo nell’ottobre del 1935 per partire volontario per la campagna in Africa Orientale.

Galbiati assume il comando della 219^ legione “Vittorio Veneto”, con i battaglioni CCXIX e CCCXIX, formata da ex combattenti delle classi dal 1880 al 1900 ed inquadrata nella 6^ divisione CC.NN. “Tevere”.

La divisione viene costituita il 7 agosto 1935 ed il 14 dicembre successivo, dopo essere stata passata in rivista dal re, inizia il suo trasferimento in A.O. e viene schierata sul fronte somalo, al comando del maresciallo Graziani.

Dopo mesi di attesa e di difficoltà, ad aprile del 1936 comincia l’azione offensiva verso Harrar ed il 5 giugno la legione comandata da Galbiati occupa le località di Moggio e di Meda.

Il 24 giugno la legione viene schierata a difesa della ferrovia Gibuti-Addis Abeba.

Il 6 luglio, a Les Addas,  ha luogo un grande attacco degli abissini alla ferrovia. La linea resta tagliata, i collegamenti telefonici interrotti ed un treno di civili italiani diretto ad Addis Abeba viene deviato ed assediato.

Le CC.NN. della “Vittorio Veneto” si battono per due giorni ininterrottamente e resistono finchè il nemico non è costretto a ripiegare. Cadono 54 legionari, il console Galbiati rimane gravemente ferito. La legione si guadagna la medaglia di bronzo al V.M. , due ufficiali, di cui uno caduto, vengono insigniti di medaglia d’oro ed il console Galbiati di due medaglie d’argento (Nota 5 e 6).

Come il periodo torinese era stato allietato dalla nascita del figlio Renato, così la campagna per la conquista dell’impero arreca a Galbiati un grande dolore; il 31 gennaio 1936 muore la moglie Gianna Brovelli, a seguito di improvvisa e fulminea malattia contratta a Napoli al momento della partenza del marito per l’Africa.

Dall’impero alla guerra mondiale

Le ferite riportate in Africa Orientale escludono la partecipazione, sia diretta che indiretta, di Galbiati alla guerra di Spagna.

Rimpatriato dall’Africa Orientale, Galbiati, nel maggio 1937, viene nominato Ispettore generale dei reparti universitari della MVSN ed in tale periodo diviene anche membro della commissione centrale di disciplina del PNF e membro del direttorio dell’associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra.

Il 23 dicembre 1939 viene promosso luogotenente generale della MVSN.

Il 6 giugno 1940, poche ore prime che l’Italia entri nel secondo conflitto mondiale, Galbiati consegue a Roma il brevetto civile di 1° grado da pilota.

Allo scoppio delle ostilità contro la Francia e l’Inghilterra, Galbiati viene inviato quale ufficiale di collegamento per le CC.NN. prima al comando Gruppo Armate dell’est, schierato prudenzialmente contro la Jugoslavia, successivamente sul fronte alpino occidentale presso il comando della 7^ Armata, comandata dal Duca di Pistoia, ed infine, nel novembre 1940, presso il comando della 11^ Armata sul fronte greco.

L’attività di ufficiale di collegamento gli diventa ben presto “noiosa” tanto che Galbiati richiede ai generali Geloso e Cavallero di poter ottenere un comando operativo di truppe.

Ma per ottenere un tale comando occorre una disponibilità di reparti di CC.NN. che su quel fronte non esiste.

Galbiati allora inoltra una richiesta diretta al duce e pochi giorni dopo giungono a Vallona, in Albania, imbarcati su alcuni cacciatorpediniere, tre battaglioni di camicie nere  (VIII di Varese, XVI di Como ed il XXIX di Arona) con i quali Galbiati inizia a costituire quel Raggruppamento che prenderà il suo nome e che si coprirà di valore tanto da essere ripetutamente citato nei bollettini di guerra ed anche dallo stesso Mussolini, il 10 giugno 1941, in una relazione alla Camera.

Tra questi fatti d’arme, merita di essere ricordato il violento attacco sferrato il 13 febbraio dalla divisione greca “Creta” contro l’ala destra dello schieramento italiano all’altezza del paese di Marizai. Il generale Galbiati assume, per ordine superiore, il comando di tutte le unità nazionali schierate su quel fronte.

La resistenza tenace ed all’arma bianca di pochi battaglioni di camicie nere e di fanti contro un intera divisione greca dura ininterrotta sino al giorno 23 ed impedisce ai greci di sfondare le nostre linee.

Dal 16 al 23 aprile successivo il Raggruppamento si distingue nuovamente nell’occupazione di Valle Drino.

Per questi fatti d’arme, Galbiati viene decorato della Croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Nota 7) e delle terza medaglia d’argento al V.M.(Nota 8).

Capo di Stato Maggiore della M.V.S.N.

Il 25 maggio 1941, mentre con il suo Raggruppamento di CC.NN. sosta nella piana di Kalibaki, giunge a Galbiati l’ordine del duce di rientrare immediatamente a Roma senza che ne vengano precisate le ragioni.

Giunto a Roma, Galbiati viene ricevuto a palazzo Venezia da Mussolini ed investito della carica di capo di stato maggiore della MVSN con la consegna di darle un rinnovato spirito volontaristico e di potenziarla al massimo come strumento bellico (Nota 9).

La scelta di Mussolini cade su questo giovane generale che il duce stesso ha conosciuto personalmente sin dai giorni della marcia su Roma, che vanta un eccellente curriculum militare e che, oltre ad essere un valoroso soldato, presenta eccellenti doti di organizzatore e di trascinatore di uomini.

Galbiati impiega poco tempo per comprendere che lo stato maggiore della Milizia ha, al momento, il solo compito di fornire volontari non soggetti agli obblighi di leva alle altre tre forze armate del regno. Difatti, sin dal giugno 1940, i reparti combattenti della Milizia sono stati indivisionati e sono alle dipendenze del Regio Esercito. La Milizia contraerea e la Milmart sono viceversa alle dirette dipendenze della Regia Marina e della Regia Aeronautica.

Galbiati si mette subito al lavoro e stende un programma i cui punti qualificanti sono il migliorare i collegamenti ed i rapporti con l’esercito, alimentare quantitativamente e qualitativamente i reparti combattenti già falcidiati da tanti mesi di guerra e, soprattutto, ottenere un minimo di autonomia nell’addestramento e nell’impiego delle CC.NN. e di tentare “attraverso l’addestramento, la formazione di un tipo di soldato che rispondesse maggiormente al moderno campo di battaglia e che fosse esempio per tutti per comportamento e spirito guerriero”.

Da questi postulati nasceranno pochi mesi dopo, e su iniziativa di Galbiati, i battaglioni “M” (Nota 10).

Nel settembre 1942 Galbiati si reca sul fronte russo, in Polonia ed in Germania.

In Russia visita le linee che i nostri reparti tengono su un fronte immenso di 210 kilometri con ben undici battaglioni di camicie nere.

Lo spirito delle truppe, in specie delle CC.NN. e dei bersaglieri, gli appare alto.

Nel pomeriggio del giorno 9 incontra, presso il Quartier Generale situato entro un bosco di confine nei pressi di Vinnitsa, un Fuhrer euforico e convinto che entro poche ore le truppe germaniche avrebbero occupato Stalingrado.

Dopo un breve soggiorno a Varsavia, nei giorni 11 e 12 Galbiati è a Berlino ospite del ministro Goebbels.

Il 16 rientra a Roma e consegna al duce un duro rapporto dove evidenzia che da parte tedesca non viene riconosciuto alcun valore all’apporto bellico italiano.

Il 17 maggio 1943 Galbiati torna a Berlino dove incontra Himmler dal quale ottiene materiali ed armi destinati alla costituenda divisione corazzata “M”.

Il 10 luglio accompagna il duce nella zona di Settevene per assistere all’esercitazione della grande nuova unità corazzata che, forte di circa 5.700 uomini, era stata costituita ufficialmente il 25 giugno 1943.

L’esercitazione a fuoco entusiasma Mussolini e preoccupa a tal punto il generale Ambrosio, nuovo capo di stato maggiore generale, che lo stesso convince il dittatore a trasferire la divisione nella penisola salentina e di porla alle dirette dipendenze dallo S.M. del Regio Esercito.

Galbiati protesta vivacemente con il duce che ignaro delle vere ragioni che stanno dietro le pressioni dei militari, le asseconda convinto che “la situazione politica è tutta in dipendenza di quella militare!”.

Galbiati riesce ad ottenere dal duce solo il rinvio della partenza al 21 e, successivamente, al 25 luglio successivo.

Come noto, il 25 luglio 1943 la “M” è ancora acquartierata alle porte di Roma (Nota 11).

Forte Boccea e la Repubblica Sociale

Nel pomeriggio del 23 agosto 1943, quasi un mese dopo il colpo di stato, i carabinieri si presentano nell’appartamento romano di Galbiati ed in auto lo conducono a forte Boccea.

Qui sono stati già rinchiusi altri alti ufficiali della Milizia e del Regio Esercito come Cavallero, Soddu, Montagna, Agostini e Gravelli.

Ed è a forte Boccea che Galbiati viene a conoscenza della firma dell’armistizio e della fuga del re e di Badoglio.

Il 12 settembre successivo all’improvviso si aprono le porte delle celle e compare il consigliere nazionale Olo Nunzi, che già in precedenza si era interessato per la scarcerazione di Galbiati, accompagnato da alcune SS.

Galbiati e gli altri compagni di prigionia, stesso la mattina del 12 settembre, vengono accompagnati all’ambasciata di Germania e successivamente condotti a Frascati dove, nella notte tra il 14 ed il 15 settembre e nell’attesa di essere trasferito in Germania, il maresciallo Cavallero si uccide con un colpo di pistola alla tempia in circostanze misteriose e mai integralmente chiarite.

Il 17 settembre giunge a Frascati dalla Germania Alessandro Pavolini, da poco nominato segretario del nuovo partito fascista repubblicano.

Pavolini anticipa a Galbiati la decisione del duce di trasformare la Milizia in Guardia Nazionale Repubblicana, assorbendo anche i carabinieri e la PAI, e di affidarne il comando e Renato Ricci.

Dopo che il 17 settembre accompagna Pavolini alla riapertura della sede centrale del partito in Piazza Colonna a Roma, Galbiati viene contattato da Buffarini Guidi, nel frattempo divenuto Ministro dell’Interno della neonata Repubblica Sociale, che gli offre, su ordine di Mussolini, di sceglier tra gli incarichi di capo della polizia e di sottosegretario agli interni. Galbiati declina entrambe le proposte aggiungendo che sarebbe volentieri tornato sui campi di battaglia.

Il 1 ottobre 1943 Mussolini riceve Galbiati alla Rocca delle Caminate. Mussolini lo riceve con “affettuosa benevolenza” e lo intrattiene sulle sue recenti vicissitudini e sulle sue future iniziative di governo.

Galbiati, a sua volta, coglie l’occasione per presentare al duce una particolareggiata relazione sul comportamento che la sera del 25 luglio aveva ritenuto di dover assumere e che riassume in cinque punti fondamentali:

  • Sussistenza di molti dubbi circa la veridicità delle dimissioni del duce dato che egli, anteponendo l’interesse del paese al suo personale, poteva aver escogitato “un mezzo per raggiungere un fine”;
  • L’impossibilità di qualsiasi comunicazione telefonica e/o telegrafica con tutti i comandi periferici della Milizia;
  • Forte presenza a Roma e dintorni di ben cinque divisioni del Regio Esercito;
  • Impossibilità di comunicare e di poter disporre della divisione corazzata “M” che, dislocata a 40 Km da Roma e sotto il comando operativo del Regio Esercito, era ancora in fase di addestramento e priva di un gran numero di legionari in breve licenza data la prevista imminente partenza della grande unità per la zona di operazioni;
  • Le dichiarazioni del re e di Badoglio ”la guerra continua” e “L’Italia tiene fede alla parola data”, unitamente alla presenza del nemico sul territorio nazionale, suggerirono di attendere gli eventi e di non provocare con “delittuosa leggerezza” una fratricida guerra civile.

Galbiati, nelle sue memorie, racconta che il duce lesse la relazione con profonda attenzione e che approvò incondizionatamente il suo operato commentando: “Non c’è che dire, avevano preparato il colpo di stato con abilità degna di un’opera d’arte”.

Anche Giorgio Pini, nel suo “Filo diretto con Palazzo Venezia” conferma che Mussolini riceve Galbiati alla Rocca delle Caminate e che “non gli contesta il mancato ordine alla Milizia di reagire al suo arresto ammettendo che il colpo di stato si era svolto in modo tanto diabolico da confondere tutti”.

L’8 novembre successivo Galbiati viene convocato da Mussolini nel suo quartier generale sul lago di Garda e nuovamente declina l’invito del duce affinché riassuma funzioni direttive nella Guardia Nazionale Repubblicana.

Galbiati rimane sul lago di Garda per circa quattro mesi e sino a quando alcuni giornali italiani ed anche un giornale in lingua tedesca stampato nel territorio della RSI pubblicano la notizia che è in corso contro di lui un procedimento giudiziario per la mancata reazione armata della Milizia al colpo si stato e che si auspica un verdetto esemplare di condanna mediante fucilazione.

Galbiati si reca dal capo della polizia e dal ministro della propaganda e, non avendo ottenuto alcuna risposta e soddisfazione, scrive al duce. Mussolini, tramite Pavolini, immediatamente gli fa rispondere che la lealtà di Galbiati non può affatto essere discussa e successivamente, il 6 marzo 1945, in occasione di un rapporto tenuto a Brescia a 400 ufficiali della GNR, testualmente dichiara: “Non vi è dubbio che la tecnica del colpo di stato del 25 luglio fu perfetta. Fu un capolavoro! Tutto era stato predisposto nei minimi dettagli di uomini, di luogo e di tempo. Il fascismo fu sorpreso. Già da tempo si lavorava per allontanare quante più unità della Milizia da Roma e dall’Italia e ed il fascismo si trovò quindi nell’impossibilità quasi pratica di operare una resistenza immediata”.

L’ultima apparizione di Galbiati durante i seicento giorni di Salò è in occasione del processo di Verona al quale viene chiamato come testimone. Galbiati si reca nella città scaligera il 20 dicembre 1943 e relaziona il giudice istruttore, che ne redige verbale scritto, di come si era svolta la riunione del Gran Consiglio.

Galbiati ritorna a Castelvecchio l’8 gennaio 1944 per confermare in udienza la deposizione scritta.

Il dopoguerra e gli ultimi anni

Galbiati esce indenne dalle vicende dell’aprile 1945 e da quelle dell’immediato dopoguerra.

Vive a Milano e nel 1950, a cura della Editrice Bernabò,  da alle stampe un libro di memorie dal titolo “Il 25 luglio e la MVSN”.

Invero Galbiati aveva già dato alle stampe il medesimo libro con il titolo “Annotazioni del nostro tempo”. Il libro però, edito dalla casa editrice Antonio Cordani di Milano, venne stampato nell’aprile 1945, pochi giorni prima che l’insurrezione nazionale consigliasse all’editore di soprassedere alla sua distribuzione.

Sul finire dell’anno 1955, a seguito di ripetuti e violenti attacchi di “tradimento e codardia” apparsi sulla stampa, Galbiati querela, per diffamazione a mezzo stampa, Vanni Teodorani, genero di Arnaldo Mussolini e direttore responsabile del giornale “Asso di bastoni” che si pubblica a Roma.

Il processo contro Teodorani si apre presso la II sezione del tribunale penale di Milano nel febbraio del 1956.

Testimoniano al processo numerosi generali ed ufficiali della disciolta Milizia.

Alcuni a difesa dell’operato di Galbiati, come Semadini, Conticelli, Bracci e Zecchin. Altri, come i generali Montagna e Lusana, l’onorevole Battifoglia ed  il seniore Taggi, a sostegno delle tesi del Teodorani.

Il seniore Taggi, che comandava il campo “M” di Roma Trastevere , dichiara che la sera del 25 luglio era pronto ad intervenire con oltre 750 legionari “M” ma che arrivò dal generale Conticelli, sottocapo di stato maggiore della Milizia, l’ordine di arrendersi perché “si è già d’accordo con Badoglio”.

Il generale Montagna, capo della polizia durante la RSI, a sua volta conferma che non era affatto vero che quella sera mancassero a Galbiati le forze per reagire perché, oltre ai 750 legionari del campo di Trastevere e  a numerosi reparti delle Milizie speciali, in quelle ore nella capitale erano presenti una legione di camicie nere e tre battaglioni “M”. A Ostia, sul litorale laziale, era in attività la scuola allievi ufficiali “M” e a Campagnano era acquartierata la divisione corazzata “M”.

Inoltre il XVI battaglione “M” di Como, da poco rientrato dalla Slovenia e dislocato nei pressi di Roma, al comando del console Marabini si era già messo in marcia verso la città e venne bloccato da un preciso ordine del comando generale.

Montagna dichiara inoltre che Mussolini a Gardone più volte si era espresso sui fatti del 25 luglio e che non aveva affatto perdonato o compreso l’atteggiamento di Galbiati.

L’onorevole Battifoglia, capo del servizio disciplina del P.F.R., dichiara che nell’inverno 1944/45 Galbiati richiese l’iscrizione al Partito Fascista Repubblicano e che Mussolini, di suo pugno, appose sulla domanda “Parere contrario. Ignorarlo!”. Il generale Alessandro Lusana, che il 25 luglio 1943 comandava la divisione corazzata “M” e che già nel settembre del 1944 aveva scritto una lunga relazione al duce sul mancato intervento della divisione, dichiara infine che la divisione, sebbene ad organici ridotti, ancora in fase di addestramento e formalmente dipendente dal Regio Esercito, era in grado di manovrare in piena efficienza ed in attesa di un ordine di intervento da parte di Galbiati. L’unico ordine che viceversa pervenne in quelle ore alla divisione dal generale Galbiati fu quello di “continuare tranquillamente a sviluppare l’addestramento”.

Molto dure sono anche le testimonianze del feldmaresciallo Kesselring, che accusa Galbiati di una passività in contraddizione con il suo ruolo ed il suo compito, e del colonnello delle SS Dolmann che, convinto che Galbiati poteva intervenire con successo la sera del 25 luglio, testimonia che più volte , dal settembre 1943 all’aprile del 1945, Mussolini ebbe a dichiarargli che Galbiati era ”un uomo che aspetta ordini, che di sua iniziativa non è ha mai dato e che è preferibile che scompaia nell’ombra”.

Il processo si chiude il 13 giugno 1956 con una sentenza che assolve Teodorani relativamente alla ricostruzione storica dei fatti del 25 luglio 1943, in quanto “è assolutamente pacifico e notorio che il generale Galbiati, dopo aver parlato e votato a favore di Mussolini nella seduta notturna del Gran Condiglio del Fascismo, si astenne poi da ogni intervento di forza in suo favore, prendendo atto della decisione del re di sostituire il capo del governo e ad essa uniformandosi”.

Il Tribunale penale di Milano condanna Teodorani esclusivamente ad una modesta pena pecuniaria (120.000 lire dell’epoca) per diffamazione a mezzo stampa avendo lo stesso ripetutamente qualificato Galbiati con epiteti pesantissimi.

La violenza degli attacchi ricevuti, anche da molti ex ufficiali e legionari della Milizia che addebitano al solo Galbiati la responsabilità di aver deposto le armi e di aver tradito la consegna ed il giuramento di quella che era la “Guardia Armata della rivoluzione”, ed il conseguente processo, scuotono la serenità di Galbiati che preferisce lasciare Milano per ritirarsi a Bordighera, sulla riviera ligure.

Qui trascorre lunghi anni riservati e sereni, dedicandosi agli affetti familiari ed agli interessi di sempre quali la lettura di testi di storia e di filosofia ed il giardinaggio.

Nell’agosto del 1981, con l’avanzare dell’età, viene ospitato presso la casa di riposo “San Carlo Borromeo – Fatebenefratelli” di Solbiate, in provincia di Como.

Qui trascorre gli ultimi mesi ed è qui che nel primo pomeriggio del 23 maggio 1982, giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, muore.

Nel rispetto di sue precise volontà, Galbiati viene sepolto nella semplice tomba di famiglia che lui stesso, in anni lontani, aveva progettato e fatto realizzare nel “Principato” di Seborga, un piccolo ed antico comune arroccato sui colli di Bordighera, coperto da una coltivazione di fiori, palme e vigneti ed incorniciato in un paesaggio unico, tra le alpi marittime, la riviera ligure e la costa azzurra.

“STORIA militare” e l’autore ringraziano la dr.ssa Emanuela Galbiati per aver consentito la consultazione dell’archivio personale del generale Galbiati e per la preziosa consulenza fornita. Si ringraziano gli amici Giovanni Niccolo Re, Rudy D’Angelo, Alessio Rastrelli ed il conte Ernesto G. Vitetti  per la consueta e qualificata collaborazione. Si ringraziano infine il capitano Borsetti, della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa,  e la signora Marina Marchesi, ufficiale dello stato civile del  comune di Monza,  per le informazioni fornite.

Note

(1) Si veda C. Rastrelli, Un esercito in camicia nera in “STORIA militare” n. 129 – giugno 2004

(2) Si veda E. Cernuschi, 25 luglio 1943 in “STORIA militare” n. 100 – gennaio 2002

(3) Come noto, l’ordine del giorno Grandi richiedeva l’immediato ripristino di tutte le funzioni e responsabilità statutarie e costituzionali ed invitava Mussolini affinché pregasse la Maestà del Re, “per l’onore e la salvezza della Patria,  di assumere, con l’effettivo comando delle Forze Armate, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono”.

(4) Galbiati il 1 gennaio 1942 raggiunse il grado di tenente colonnello del Regio Esercito per meriti eccezionali ai sensi dell’articolo 116 della legge 7 giugno 1934.

(5) “Volontario in A.O. al comando di una legione CC.NN. infuse in essa la sua fede, la sua passione, il suo spirito guerriero, ottenendo nei combattimenti le più fulgide prove di abnegazione , di valore, di sacrificio. Gravemente ferito in una precedente vittoriosa azione, malgrado il dolore e la febbre, curava personalmente la sistemazione difensiva di altro presidio attaccato da gruppo di ribelli e per tre giorni, mentre le sue condizioni si facevano sempre più gravi, restava sulla linea di combattimento in mezzo ai suoi legionari, mirabile esempio di coraggio e di assoluta dedizione. 8-9 luglio 1936 XIV”

(6) “Comandante di legione scaglionata a protezione della ferrovia Gibuti – Addis Abeba, saputo che numerose forze ribelli avevano attaccato un suo reparto dipendente, di presidio ad una stazione ferroviaria, distante da lui 24 chilometri, muoveva prontamente in soccorso con un centinaio di uomini autocarrati. Riuscito a raggiungere la località, nonostante le difficoltà del terreno, l’oscurità della notte e l’intenso fuoco della fucileria avversaria, rompeva con ardimento e bravura il cerchio nemico. Gravemente ferito all’avambraccio destro da proiettile che gli fratturava il radio, non desisteva dalla lotta sono a quando non riconquistava la stazione. Organizzava quindi a difesa la posizione e su di essa fieramente resisteva, infrangendo i furiosi e ripetuti contrattacchi del preponderante nemico. Consentiva a farsi medicare solo dopo quindici ore di lotta, quando le forze ribelli erano costrette a ripiegare. Fulgido esempio di meditata audacia, virile fermezza, supremo sprezzo del pericolo. 6-7 luglio 1936 XIV”

(7) “Comandante di un settore molto importante e delicatissimo, contro il quale il nemico aveva lanciati ingenti forze, infrangeva in dieci giorni di aspra e sanguinosa lotta ogni suo sforzo, infliggendogli elevatissime perdite. Animatore e trascinatore eccezionale, sempre sereno anche nei momenti più difficili, sapeva infondere nei dipendenti col suo esempio la sicura certezza della vittoria. Con sagace e tempestiva opera di comando fronteggiava ogni manovra del nemico, stroncandone ogni capacità offensiva. Dimostrava in tal guisa di unire in felice sintesi qualità di valoroso soldato e capacità di provetto comandante. Marizai, Fronte greco, 12-23 febbraio 1941 XIX”.

(8) “Comandante di raggruppamento camicie nere, che sotto il suo impulso animatore aveva già dato numerose prove di valore e di virtù guerriere, durante un’offensiva riusciva a travolgere l’avversario, che opponeva accanita resistenza, conquistando importanti posizioni fortemente apprestate a difesa. Rotto il fronte, con pronto intuito e felice iniziativa, si poneva arditamente alla testa dei suoi battaglioni e, superando numerose zone minate e sbarramenti anticarro,valorosamente guidava le camicie nere alla conquista di altri importanti capisaldi. Agganciato il nemico, nonostante la tenace reazione e le forti perdite, con azioni pronte e decise, riusciva a porlo definitivamente in fuga, contribuendo, in modo efficace, alla vittoria. Fronte greco, 16 – 23 aprile 1941 XIX”.

(9)  Galbiati succede nella carica ad Achille Starace che viene sostituito per ragioni di opportunità politica a fronte della scarsa considerazione goduta e degli  inesistenti rapporti con l’esercito.

(10 )   I battaglioni “M” vengono costituiti ufficialmente il 1° ottobre 1941. Si tratta di reparti scelti destinati a rappresentare l’elite dei battaglioni CC.NN. ed a fregiarsi delle ben presto ambite “M” smaltate di rosso e sovrapposte ai fascetti sulle fiamme nere del bavero delle giubbe. Complessivamente furono 22 i battaglioni CC.NN. che divennero “M” nel corso del conflitto , oltre ai 4 della specialità da sbarco concepita nel 1941 in vista della mai realizzata invasione dell’isola di Malta.

(11) Si veda F. Cappellano, La divisione corazzata “M” in “STORIA militare” n. 133 – ottobre 2004.

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